Un Prologo Personale

Edward Earle Purinton

Un altro pezzo del libro La Filosofia del Digiuno. Un altro frammento della personalità di Edward Earle Purinton, sempre schietto e trasparente:

Un Prologo Personale

Il successo di questo libro sarà proporzionale al numero di quelli che non lo leggeranno. E il suo fallimento potrà essere misurato con la quantità di acclamazioni che susciterà.

Le parole in sé sono futili come mattoni sparpagliati.

Esse durano solamente quando sono cementate dal sentimento e allineate verso uno scopo. Il campo della letteratura è quasi del tutto una mattonaia desolata, con pezzi rotti e scheggiati sparsi qua e là a mostrare come poteva essere se il costruttore avesse saputo cosa farne.

La vita è l’unica letteratura che vive. E se non avessi dapprima vissuto questo libro, non sarebbe valsa la pena scriverlo. Scrivere per qualsiasi altro motivo che non sia perché uno “deve”, vuol dire insultare se stessi e martirizzare i proprî amici. Se scrivi soltanto quando devi, potresti non sempre essere rispettoso verso i tuoi amici. Ma almeno sarai leale con te stesso. E l’esame attento dei tuoi scritti non potrà mai essere un prezzo troppo alto da pagare per conoscere qualcuno che è sincero. Gli uomini sinceri sono comuni quasi quanto le gazzelle coraggiose o le tigri compassionevoli.

La Filosofia del Digiuno” è un’invocazione alla sincerità e un trattato sull’integrità umana. Per i primi venticinque anni della mia vita fui tutto tranne che integro. Poiché ero tutto tranne che sincero. Non osavo essere sincero con me stesso, o con i miei compagni. La civilizzazione, il classicismo e l’ortodossia si erano uniti per farmi apparire ciò che non ero e per mortificare ciò che ero. Il corpo, la mente e l’anima, erano appesantiti da un carico di esteriorità che giorno dopo giorno pesava sempre di più e diveniva sempre più penetrante, fino quasi a togliermi la vita.

Nacqui debole, ero semi-invalido, e soffrii di malattie croniche per quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza. Una quindicina di forme di malattie costituzionali lavoravano a turno per darmi problemi; finché famiglia, amici e medici iniziarono a disperarsi per il risultato.

Prendevo insieme sei diversi tipi di medicine, pesavo 110 libbre anziché 150, passavo quasi tutto il tempo tempo accanto al fuoco o sul divano, e minacciavo di diventare inutile a me stesso e a chiunque altro. I sintomi erano principalmente nervosi e digestivi, ed erano prodotti da diverse combinazioni di elementi.

Avevo ereditato da mio padre una mente incessantemente attiva, da mia madre un’anima ipersensibile e un corpo piccolo e tremolante, da entrambi un’ambizione insaziabile; sembravo del tutto incapace di trovare un equilibrio. A dodici anni indossavo un cappello da uomo, avevo il corpo di un bambino di otto, e un’anima più vecchia di chiunque altro avessi mai incontrato. Naturalmente nessuno mi capiva. E per me il più grande enigma nell’Universo ero io nei confronti di me stesso.

Non potevo andare in carrozza, stendermi in un’amaca, o arrampicarmi su un albero senza avere le vertigini, la nausea e diventare pallido. La più leggera disarmonia fisica o irritazione mentale mi portavano ad avere dei mal di testa che duravano per giorni. Le adunate pubbliche mi opprimevano e mi soffocavano — era la falsità velenosa della consuetudine sociale, sebbene allora non lo sapessi.

Le abitudini dell’esistenza mi facevano eternamente impazzire — ogni orologio, calendario e campana scolastica in città sembravano gridare la crudeltà della legge e dell’ordine.

La richiesta di consuetudini insensate, la morsa delle abitudini inutili, il potere della regola e dell’agire meccanico, la confusione dei beni superflui, l’onere dei doveri fittizi, il miasma dell’opinione popolare, il solco lasciato dai precedenti, la catena dell’ambiente, la benda della superstizione — da tutte queste barriere al progresso umano io mi dibattevo per essere libero.

I dottori, nel frattempo, dichiaravano con accento profetico di non riuscir a trovare delle basi fisiologiche alla malattia — doveva essere tutto nella mia immaginazione!

Certo che lo era. Ciò che conta è il tutto. E specialmente la diagnosi di un dottore — che conta finanziariamente.

[…]

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Di Luciano Gianazza

Luciano Gianazza, già traduttore dei libri originali di Arnold Ehret, ed ora anche di Edward Earle Purinton, scrive articoli di carattere filosofico spirituale che rispecchiano le sue personali esperienze lungo il cammino della conoscenza, oltre ad altri sulla corretta alimentazione dell’uomo.